La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 18602 del 24 aprile 2013, ha affermato che, secondo la posizione costante della giurisprudenza della Corte medesima, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, deve ritenersi legittimo soltanto quando il reperimento dei beni costituenti il “profitto” del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, o quando gli stessi beni non siano aggredibili per qualsiasi ragione.
In particolare, in tema di reati tributari (come quello relativo all’omesso versamento dell’imposta oggetto della causa esaminata dalla Suprema Corte), la nozione di “profitto”, a tale fine rilevante, deve ritenersi coincidente con l’ammontare dell’imposta evasa.
Il “profitto” derivato dalla commissione del reato deve, quindi, ritenersi immediatamente coincidente con il risparmio economico conseguito dalla società per effetto dell’evasione tributaria. Da ciò ne deriva che il sequestro per equivalente a carico dell’amministratore della società avrebbe dovuto essere adottato esclusivamente a seguito dell’accertata impossibilità di procedere al sequestro, ai fini della confisca, dei beni della società che ha beneficiato dell’indebito risparmio fiscale.
Nel provvedimento impugnato mancava qualsiasi indicazione, riguardo all’effettiva e concreta impossibilità di procedere al sequestro dei beni della società che aveva beneficiato dell’evasione fiscale, che potesse giustificare il sequestro per equivalente sui beni dell’amministratore della società medesima. Pertanto, il provvedimento è stato ritenuto illegittimo.
a cura dell’Avv. Raffaella De Vico.