L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti riguardo alla nuova imposta sui servizi digitali. Lo ha fatto con la Risposta n. 149 del 22 marzo 2022.
La società che ha presentato istanza di interpello è una società che si occupa della fase editoriale di produzione e commercio di giornali, quotidiani, periodici, libri e servizi editoriali del gruppo del quale fa parte. La società istante svolge anche l’attività di cessione di spazi pubblicitari on-line.
La sua attività può essere assoggettata all’imposta sui servizi digitali prevista dalla Legge di Bilancio per il 2019? In particolare, i dubbi riguardano l’applicabilità dell’imposta sui servizi digitali ai ricavi derivanti dalla pubblicità “programmatic“, in cui la compravendita degli spazi pubblicitari è svolta attraverso l’intermediazione delle piattaforme digitali gestite da intermediari specializzati e la società istante non dispone sempre del controllo dei criteri di targeting utilizzati nella compravendita degli spazi pubblicitari, ed ai ricavi derivanti dalla pubblicità riferita alla geolocalizzazione dell’utente quando è basata unicamente sui dati forniti in via automatica dall’Internet Service Provider (ISP) e manca, quindi, una partecipazione consapevole dell’utente.
Nella Risposta dell’Agenzia delle Entrate è stato ricordato che l’applicazione dell’imposta sui servizi digitali dipende dallo svolgimento di un’attività d’impresa vera e propria e dal superamento di determinate soglie dimensionali. L’esercente l’attività d’impresa, singolarmente o a livello di gruppo, nell’anno precedente a quello di determinazione della base imponibile, deve, infatti, aver conseguito un ammontare complessivo di ricavi realizzati ovunque non inferiore a 750.000.000 Euro ed un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali realizzati nel territorio dello Stato non inferiore a 5.500.000 Euro.
La base imponibile dell’imposta è rappresentata dai ricavi derivanti dai servizi digitali, dove per servizi digitali rilevanti ai fini di tale imposta si intendono: la veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della stessa interfaccia; la messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura di diretta di beni e servizi; la trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale.
Con riferimento al caso descritto nell’istanza di interpello, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che il servizio reso dalla società istante è riconducibile al servizio di veicolazione della pubblicità mirata.
Secondo quanto chiarito nel Provvedimento di attuazione dell’imposta del 15 gennaio 2021, per veicolazione si deve intendere quel servizio specifico svolto dalle interfacce digitali che trasferiscono su siti di terzi o ospitano pubblicità mirata, percependo un corrispettivo per tale intermediazione o per tale prestazione. L’attività di veicolazione include anche la cessione di spazi pubblicitari.
La veicolazione intesa nell’accezione di pubblicità “ospitata” richiede che l’utente (che può essere un consumatore o un’impresa) acceda con il proprio dispositivo all’interfaccia digitale dove è ospitata la pubblicità per apparire sul dispositivo dell’utente stesso. Quando poi vi è veicolazione intesa come intermediazione, è necessaria l’ulteriore presenza di un’altra interfaccia digitale, o anche più di una, dove accedono gli utenti (ossia l’acquirente ed il venditore della pubblicità mirata).
La circostanza che vi siano più operatori coinvolti nella veicolazione della pubblicità mirata non esclude che tutti i soggetti coinvolti possano essere soggetti passivi dell’imposta sui servizi digitali qualora ne integrino i presupposti per l’applicazione.
L’Agenzia delle Entrate ha, altresì, evidenziato che non tutta l’attività di veicolazione della pubblicità rientra nell’ambito di applicazione dell’imposta sui servizi digitali. La normativa in materia, infatti, limita l’ambito di applicazione del’imposta alle sole prestazioni che riguardano la pubblicità mirata, ossia i messaggi pubblicitari collocati sull’interfaccia digitale in funzione dei dati relativi ad utenti che accedono a tale interfaccia.
La circostanza che la società istante non abbia il controllo della profilazione degli utenti non esclude che la prestazione resa possa riguardare la pubblicità mirata. Ciò che rileva è la circostanza oggettiva che i messaggi pubblicitari siano profilati rispetto ai soggetti che accedono all’interfaccia digitale.
L’Agenzia delle Entrate ha, in conclusione, affermato che la società istante, nella qualità di editore, rende un servizio digitale in tutti i casi in cui il servizio offerto sia oggettivamente qualificabile come veicolazione di pubblicità mirata e sia, quindi, soggetto passivo dell’imposta in relazione ai ricavi che derivano da tale attività.
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate ha rilevato che, nell’ambito della pubblicità mirata, rilevano i dati degli utenti che riguardano aspetti della loro vita personale, come preferenze e comportamenti (compresi gli acquisti o la digitazione di determinate ricerche sui motori di ricerca), ed anche la loro collocazione geografica.
La pubblicità mirata comprende anche il cosiddetto “targeting geografico” che permette di offrire annunci pubblicitari agli utenti in base alla loro posizione, ricavata attraverso, ad esempio, l’utilizzo di un wi-fi ed i dati GPS. Quindi, per la qualificazione della pubblicità come mirata, rilevano i dati della geolocalizzazione raccolti tramite l’Internet Service Provider, a prescindere dalla circostanza che l’utente ne abbia o meno consapevolezza ed indipendentemente dall’accuratezza della posizione geografica rilevata. Tra l’altro, l’Agenzia delle Entrate ha rilevato che la geolocalizzazione dell’utente può essere ricavata anche applicando dei metodi induttivi che non garantiscono una puntuale individuazione della posizione geografica dell’utente.
Non può, quindi, sostenersi, come fatto dall’istante, che la geolocalizzazione possa essere stabilita soltanto in base a dati espressamente forniti dall’utente. La geolocalizzazione e, pertanto, la pubblicità mirata e, conseguentemente, l’applicabilità dell’imposta sui servizi digitali può sussistere anche in mancanza di dati che l’utente accetta consapevolmente di mettere a disposizione.