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21 Gennaio 2022
4 Minuti di lettura

Risoluzione consensuale di una vendita immobiliare: come si applica l’imposta di registro?

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L’Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione n. 3 del 18 gennaio 2022, ha chiarito quale sia il corretto trattamento da applicare ai fini dell’imposta di registro in caso di risoluzione consensuale di una compravendita immobiliare.

Il contribuente che ha presentato istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate ha acquistato un immobile tramite atto regolarmente registrato. L’atto di compravendita prevedeva che il saldo del prezzo sarebbe stato versato dall’acquirente al momento dell’erogazione del mutuo.

L’istante ha presentato richiesta di concessione di mutuo ipotecario all’Inps che, però, ha respinto tale richiesta, sulla base della circostanza che l’atto di compravendita era già stato stipulato. Questa decisione è stata impugnata in sede amministrativa dall’istante che sosteneva che vengono di prassi erogati mutui successivamente al rogito e che il regolamento Inps non prevede alcun divieto in tal senso. Il ricorso è stato respinto e si è verificata l’impossibilità di percorrere la strada giudiziaria della Commissione Tributaria in tempi ragionevoli, così che le parti hanno concordato la risoluzione del contratto stipulato originariamente e di procedere con una nuova richiesta di concessione del mutuo all’Inps.

In sede di risoluzione del contratto, non è stato previsto il versamento di alcun corrispettivo, né la restituzione di quanto versato in precedenza.

Il quesito posto all’Agenzia delle Entrate riguarda il corretto trattamento tributario da applicare ai fini della tassazione indiretta a tale atto di risoluzione della compravendita immobiliare.

Secondo il contribuente istante, le imposte dovrebbero essere applicate al nuovo atto di risoluzione del contratto di compravendita in misura fissa.

L’Agenzia delle Entrate ha richiamato quanto previsto all’articolo 28 del D.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986 che definisce il trattamento tributario da applicare alla risoluzione di un contratto ai fini della tassazione indiretta. Secondo tale disposizione, la risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da una clausola o da una condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso o stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Soltanto se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzionale.

In ogni altro caso, l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse.

Quindi, nel caso in cui vi sia una clausola risolutiva espressa più o meno contestuale al contratto originario, si applica l’imposta proporzionale soltanto se per la risoluzione è previsto un corrispettivo e soltanto sull’ammontare di tale corrispettivo e per il resto si applica l’imposta in misura fissa.

Se, invece, la risoluzione del contratto è realizzata mediante un apposito negozio, la tassazione deve essere applicata in misura proporzionale alle prestazioni derivanti dalla risoluzione ed all’eventuale corrispettivo della risoluzione stessa.

Nel caso descritto nell’istanza di interpello, secondo l’Agenzia delle Entrate, trova applicazione la seconda ipotesi e, pertanto, deve essere applicata l’imposta di registro in misura proporzionale.

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