Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione (v. risposta specifica) il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri (art. 156 c.c.). L’entità di tale somministrazione, comunemente detta assegno di mantenimento, è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi del coniuge obbligato.
Resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti per chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere autonomamente e per ragioni obiettive. Diversamente dal mantenimento, gli alimenti rappresentano un contributo minimo e indispensabile per consentire di soddisfare i bisogni primari dell’individuo.
In caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi (datore di lavoro, enti pensionistici, etc.), tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.
Qualora sopravvengano giustificati motivi, il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti relativi al mantenimento e alla prestazione degli alimenti.
Per l’assegno in sede di mantenimento in sede di divorzio v. risposta specifica.
1 Gennaio 1970
Quando è dovuto l’assegno di mantenimento in sede di separazione?
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