La Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 10586 del 13 maggio 2011, ha confermato il principio giurisprudenziale secondo il quale l’esistenza del valore di avviamento di un’azienda non può essere esclusa sulla base della sola circostanza che l’impresa abbia subito delle perdite negli esercizi precedenti. Del valore complessivo dell’azienda, infatti, fa parte il valore dell’avviamento, che si somma al valore degli altri beni che la compongono, nell’ambito di un’operazione che logicamente precede la detrazione delle passività, in modo tale che non si può escludere a priori l’esistenza di un valore dell’avviamento dall’esistenza o dall’ammontare delle passività.
Secondo la Suprema Corte, quindi, non vi è ragione di escludere che un’azienda in perdita possa disporre nel patrimonio di componenti attivi, tra i quali beni immateriali come l’avviamento commerciale.
La Corte ha, inoltre, affermato che nel caso di specie è stata correttamente applicata la disposizione del codice civile (articolo 2426, comma 1, n. 6) secondo la quale l’avviamento può essere iscritto nell’attivo patrimoniale della società acquirente, se acquisito a titolo oneroso, e nei limiti del costo per esso sostenuto. L’operazione, quindi, è ammessa purché l’avviamento sia stato acquistato a titolo oneroso (avviamento derivato e non originario o autoprodotto) e il valore dell’avviamento da iscrivere nel bilancio non sia superiore al costo sostenuto per lo stesso.
a cura dell’Avv. Raffaella De Vico.
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