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15 Aprile 2022
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Somme corrisposte dal datore per condanna per demansionamento: se per danno emergente, non c’è ritenuta.

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Le somme erogate dal datore di lavoro al lavoratore a seguito della condanna del Tribunale per demansionamento a quale trattamento tributario devono essere assoggettate ai fini delle imposte sui redditi? Sono imponibili? Devono essere assoggettate a ritenuta?

La società che ha presentato istanza di interpello ha corrisposto, a titolo di risarcimento per demansionamento, in favore di un ex dipendente una somma complessiva di oltre 28.000 Euro, a seguito di una sentenza pronunciata dalla Sezione Lavoro di un Tribunale. In particolare, con la sentenza, è stato riconosciuto all’ex dipendente l’esistenza di un danno alla sua professionalità come conseguenza del demansionamento, mentre non è stato riconosciuto il danno non patrimoniale dello stesso lamentato nel ricorso.

La società istante ha rinunciato a proporre appello contro la sentenza ed ha corrisposto all’ex dipendente, nel 2020, una somma sulla quale ha operato prudenzialmente la ritenuta alla fonte, versandola entro il 16 del mese successivo all’erogazione della somma stessa e rilasciando la Certificazione Unica del 2021.

Nel dicembre del 2020, l’ex dipendente ha notificato alla società istante un atto di precetto per la somma risultante dalla differenza tra quanto liquidato in sentenza e quanto effettivamente ricevuto. In tale sede, è stata contestata l’applicazione della ritenuta alla fonte, dal momento che le somme che il lavoratore aveva ricevuto non sarebbero state assoggettabili a tassazione. La società non ha presentato opposizione al precetto ed ha corrisposto quanto richiesto.

Ma ora la società richiede all’Agenzia delle Entrate se effettivamente l’importo versato a titolo di risarcimento per demansionamento sia privo di rilevanza reddituale e, pertanto, erroneamente assoggettato a ritenuta e, in questo caso, quali siano le modalità per recuperare le ritenute versate.

L’Agenzia delle Entrate, nella Risposta n. 185 dell’8 aprile 2022, ha ricordato la disposizione del Testo Unico delle Imposte sui Redditi secondo la quale i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.

Sono, quindi, imponibili le somme corrisposte per sostituire mancati guadagni sia presenti, che futuri, del soggetto che li percepisce. Si parla, in questo caso, di somme percepite come risarcimento del “lucro cessante”.

Non assumono, invece, rilevanza le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto o al fine di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio (cosiddetto “danno emergente”).

In generale, quando l’indennizzo percepito da un soggetto va a compensare, in via integrativa o sostitutiva, la mancata percezione di redditi di lavoro o il mancato guadagno, le somme corrisposte devono essere considerate come dirette a sostituire un reddito che non è stato conseguito dal soggetto percipiente e, conseguentemente, devono essere ricomprese nel reddito complessivo del soggetto stesso ed assoggettate a tassazione.

L’Agenzia delle Entrate ha, poi, voluto fornire indicazioni specifiche riguardo al tema del demansionamento. Di estrema rilevanza assume la distinzione tra il danno patrimoniale, derivante dall’impoverimento della capacità professionale del lavoratore o dalla mancata acquisizione di maggiori capacità lavorative, con la connessa perdita di ulteriori possibilità di guadagno, ed il danno non patrimoniale, comprendente sia l’eventuale lesione dell’integrità psico-fisica del lavoratore (oggetto di accertamento di tipo medico), sia il danno esistenziale, da intendersi come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva, ma accertabile oggettivamente, che determini un’alterazione delle abitudini e delle relazioni della persona e che la induca a scelte di vita diverse quanto all’espressione ed alla realizzazione della personalità nel mondo esterno, sia la lesione dell’immagine professionale e della dignità personale del lavoratore.

Le somme erogate a titolo di ristoro della perdita delle possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa (perdita delle cosiddette chance professionali) non sono imponibili.

La perdita di chance è un elemento del danno emergente e deve comunque essere provato dal ricorrente. Ad esempio, dovrà essere dedotto dal lavoratore l’esercizio di un’attività soggetta ad una continua evoluzione e caratterizzata da vantaggi connessi all’esperienza professionale che sono destinati a venir meno in conseguenza del loro mancato esercizio per un apprezzabile periodo di tempo. Così si è espressa la giurisprudenza della Corte di Cassazione. La prova concreta può anche consistere nell’indicazione, nel caso specifico, delle aspettative che sarebbero state conseguibili in caso di regolare svolgimento del rapporto di lavoro e che, invece, sono state frustrate dal demansionamento.

Pertanto, le somme liquidate a titolo di perdita delle “chance” professionali possono essere qualificate come risarcimenti di danno emergente soltanto qualora l’interessato abbia fornito una prova concreta dell’esistenza del danno e del suo ammontare.

Nel caso descritto nell’istanza di interpello, nella sentenza di condanna che è stata pronunciata dalla Sezione Lavoro del Tribunale è stato evidenziato che era stato, già nel 1987, giudizialmente accertato che le mansioni di archivista erano inferiori rispetto alle mansioni che spettavano professionalmente al ricorrente e, nonostante questo, queste mansioni sono state mantenute dalla società datrice di lavoro per tutto il resto del rapporto di lavoro. Tale circostanza ha rappresentato indubbiamente, secondo il Giudice, una lesione della capacità professionale del lavoratore. Il lavoratore, pertanto, ha adempiuto all’onere di allegazione riguardo al danno subito alla sua professionalità.

La quantificazione del danno è stata, poi, determinata dal Giudice in via equitativa. Le somme così liquidate, a seguito del riconoscimento della lesione della capacità professionale del ricorrente, sono da considerarsi, viene ribadito dall’Agenzia delle Entrate, come non imponibili, in quanto configurabili come “danno emergente” e, pertanto, non sono assoggettabili alla ritenuta alla fonte.

Dal momento che la società istante ha già restituito l’importo corrispondente alle ritenute all’ex dipendente, tale importo potrà essere recuperato mediante la presentazione della dichiarazione integrativa del modello 770 relativo all’anno d’imposta 2020.

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