L’Agenzia delle Entrate, in una Risposta ad interpello di qualche tempo fa, ha focalizzato l’attenzione su una questione relativa all’applicazione dell’Iva in un caso di morte del contribuente che ha effettuato la prestazione e successivo pagamento del corrispettivo in favore degli eredi.
L’istante è erede di un professionista che, quando era ancora in vita, si era insinuato in una procedura fallimentare per far valere un proprio credito professionale. Quando ancora era in corso la procedura concorsuale, il professionista aveva chiuso la partita Iva. Alla sua morte, sono subentrati due eredi nel credito presente nella procedura e, grazie ad un piano di riparto del fallimento, è stato previsto un pagamento parziale del credito in questione.
Il curatore fallimentare ha richiesto agli eredi l’apertura della partita Iva che era stata originariamente chiusa dal de cuius o l’apertura di una nuova partita Iva al fine di realizzare l’incasso del credito. Questa richiesta si fonda su una pronuncia della Corte di Cassazione del 2016 secondo la quale il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini Iva, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività nel cui ambito la prestazione è stata effettuata ed alla formalizzazione della cessazione di tale attività.
Inoltre, in una Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 2019, era stato affermato che, in presenza di fatture da incassare, gli eredi non possono chiudere la partita Iva del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella, anche in deroga alla regola prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972 secondo la quale gli eredi devono chiudere la partita Iva del contribuente deceduto entro sei mesi dalla data della sua morte.
L’istante ha richiesto all’Agenzia delle Entrate quale sia il corretto trattamento fiscale del credito ereditario che andrà ad incassare.
L’Agenzia delle Entrate, nella Risposta n. 52 del 12 febbraio 2020, ha ricordato, dapprima, la regola secondo la quale le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo. Secondo le precisazioni fornite della Suprema Corte di Cassazione, la norma deve essere interpretata nel senso che l’imponibilità Iva si ha con la materiale esecuzione della prestazione, mentre, con il conseguimento del compenso, si verifica la condizione di esigibilità e l’estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione della prestazione.
L’Agenzia delle Entrate ha, quindi, affermato che, nel caso specifico, la prestazione di servizi professionali da parte del contribuente deceduto e per la quale si è generato il credito trasmesso agli eredi rientra nell’ambito di applicazione dell’Iva, anche se il prestatore ha chiuso la partita Iva anticipatamente. La chiusura della partita Iva impedisce agli eredi di porre in essere gli adempimenti relativi all’obbligo di fatturazione quando vi sarà il pagamento del corrispettivo da parte del curatore fallimentare (momento che rappresenta anche il verificarsi della condizione di esigibilità dell’Iva).
La conclusione espressa dall’Agenzia delle Entrate è che dovrà essere lo stesso curatore fallimentare ad adempiere all’obbligo di fatturazione dell’operazione in questione.
I compensi percepiti dagli eredi per le prestazioni effettuate dal de cuius costituiscono reddito di lavoro autonomo e devono essere assoggettati a tassazione secondo le modalità che sarebbero state applicate se i redditi fossero stati percepiti direttamente dal professionista deceduto. Quindi, saranno tassati secondo il principio di cassa con tassazione separata, salvo la facoltà di optare per la tassazione ordinaria.
Su tali compensi, infine, i sostituti d’imposta dovranno effettuare la ritenuta d’acconto.