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Principi Contabili
Scritto da: Misterfisco

Introduzione dell Euro quale moneta di conto Rilevazione contabile delle differenze di cambio nelle imprese industriali e mercantili |

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9. Criteri di rilevazione delle differenze di cambio ex art. 18, D. lgs. 213/1998

La norma detta nuovi criteri – validi ai fini civilistici e tributari – unicamente per la determinazione delle differenze di cambio relative agli elementi monetari in valute aderenti, presenti nei bilanci che si chiudono a partire da quello al 31.12.1998, prescindendo dallâ??adozione o meno dellâ??euro quale moneta di conto. Lâ??art. 18 si riferisce a società diverse da quelle esercenti attività creditizia e finanziaria ed attività assicurativa.

Per la definizione di elementi (o partite) monetari si richiama quanto riportato al § 5.

La norma non consente di mantenere, per gli elementi monetari in valute aderenti, il cambio storico, ancorché corretto con lâ??apposizione in contabilità di un fondo di copertura dei rischi di cambio, ma impone – nel bilancio dellâ??esercizio in corso al 31.12.1998 – la loro conversione in lire, adottando uno dei tre criteri di seguito descritti. Essi hanno in comune la diretta iscrizione delle differenze cambio nelle voci dello stato patrimoniale, quindi ad aumento o diminuzione – per esempio – di crediti o debiti espressi in valute aderenti, mentre si differenziano per le modalità e lâ??importo delle differenze cambio, positive e negative, da imputare in contropartita nel conto economico.

I tre criteri dâ??imputazione nel conto economico sono:

a. imputazione delle differenze cambio immediatamente e per lâ??intero importo (art. 18, comma 3): sul punto si rinvia al successivo § 11;

b. metodo analitico pro rata, ovvero ripartizione delle differenze cambio in funzione della durata residua e della prevista movimentazione della partita da convertire, con immediata imputazione di quella parte che fosse anticipatamente incassata, riscossa o ceduta (art. 18, comma 5);

c. metodo sintetico, ovvero ripartizione delle differenze cambio positive e negative per quote costanti nellâ??esercizio e nei tre successivi, senza quindi tener conto delle scadenze delle varie partite o della loro anticipata estinzione (art. 18, comma 6).

Le differenze di cambio concorrono alla determinazione del reddito dâ??impresa nellâ??esercizio in cui sono “iscritte nel conto economico” (art. 18, comma 7). Lâ??iscrizione nello stato patrimoniale delle differenze di cambio derivanti dallâ??applicazione del metodo analitico pro rata o di quello sintetico avviene “direttamente” (art. 18, comma 8).

La relazione illustrativa al decreto legislativo collega le due ultime disposizioni, rilevando che lâ??iscrizione delle differenze cambio nel conto economico deve avvenire senza “possibilità di transito”, in modo da produrre una corrispondente variazione del reddito dâ??esercizio e conseguentemente del risultato economico ai fini civilistici.

Il punto richiede un chiarimento tecnico che verrà fornito nel successivo § 13.

Nella nota integrativa devono essere separatamente illustrati i metodi di conversione utilizzati, lâ??ammontare complessivo delle differenze di cambio positive e negative e gli importi iscritti nel conto economico e nello stato patrimoniale (art. 18, comma 9).

10. Criteri di valutazione delle differenze cambio fino al bilancio dellâ??esercizio chiuso prima del 31.12.1998

Antecedentemente allâ??entrata in vigore del D. lgs. 213/1998, oggetto qui di commento, prima quindi del 9.7.1998, le valute dei Paesi ammessi allâ??Unione monetaria europea, essendo soggette alle normali fluttuazioni, soggiacevano allo stesso trattamento contabile delle altre monete estere.

Le norme del codice civile non dettano una disciplina specifica per la conversione dei valori non espressi allâ??origine in moneta avente corso legale nello Stato, né contengono dirette indicazioni sullâ??imputazione delle differenze cambio, positive e negative, determinate a fine esercizio con sufficiente certezza o solo in via presuntiva.

Devono comunque applicarsi i principi di redazione del bilancio, disposti dallâ??art. 2423-bis, comma 1, cod. civ.; in particolare – per quanto qui di maggiore interesse – la valutazione delle voci va fatta secondo prudenza ed occorre tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dellâ??esercizio indipendentemente dalla data dellâ??incasso o del pagamento, nonché dei rischi e delle perdite di competenza dellâ??esercizio anche se conosciuti dopo la chiusura di questo. A monte di tali principi, le clausole generali del bilancio (art. 2423) impongono che esso rappresenti “in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dellâ??esercizio”.

Lâ??unico accenno specifico è contenuto nellâ??art. 2427, co. 1, n. 1, il quale richiama lâ??esistenza di “criteri applicati … nella conversione dei valori non espressi allâ??origine in moneta avente corso legale dello Stato” e ne richiede lâ??esplicitazione nella nota integrativa.

Eâ?? indubbio che – secondo le norme civilistiche – la conversione in moneta di conto deve essere effettuata sulla base di criteri che rispettino le clausole generali e i principi di redazione del bilancio. Deve quindi escludersi, per esempio, che a fronte di una rilevante svalutazione subita dalla lira nei confronti di altra moneta, un debito da pagare in questâ??ultima valuta possa essere iscritto in bilancio mantenendo il cambio utilizzato al momento di effettuazione dellâ??operazione, allorché essa sia precedente allâ??intervenuta svalutazione.

Del resto il principio contabile n. 9, Conversione in moneta nazionale delle operazioni e partite in moneta estera, emesso nel 1988, vigente la disciplina antecedente la riforma introdotta in attuazione della IV direttiva comunitaria, opera la seguente distinzione:

a. crediti e debiti in moneta estera a breve (scadenza non eccedente i 12 mesi);

b. crediti e debiti in moneta estera a medio-lungo termine (con esclusione delle eventuali quote scadenti entro i 12 mesi).

Per i primi (lett. a) il principio contabile preferiva un criterio di conversione e dichiarava accettabile un altro criterio. Il criterio preferito era quello dellâ??adeguamento di crediti e debiti al cambio di fine esercizio con imputazione a conto economico dellâ??utile o della perdita, salvo che – in conseguenza di variazioni su cambi intervenute tra la fine dellâ??esercizio e la data di redazione del bilancio – lâ??utile si fosse ridotto, giacché in questo caso tale riduzione doveva essere differita con informazione nelle note al bilancio. Il criterio accettato era quello di non effettuare alcun adeguamento, se il saldo fra utili e perdite su cambi era positivo, e di imputare a conto economico la perdita, se il saldo era negativo, con contropartita un fondo oscillazione cambi al passivo.

Anche per i secondi (lett. b) il P.C. 9 preferiva un criterio e dichiarava accettabile un altro. Il criterio preferito era sempre quello dellâ??adeguamento di crediti e debiti al cambio di fine esercizio, ma occorreva distinguere i seguenti casi:

â?¢ caso di soli utili di conversione: gli utili dovevano essere differiti per essere riconosciuti nel momento in cui si riferivano a partite a breve termine;

â?¢ caso di sole perdite di conversione: le perdite dovevano essere imputate a conto economico;

â?¢ caso di utili e perdite di conversione: si determinavano classi di scadenza (da 1 a 2 anni, da 2 a 3 anni, ecc.) e, nellâ??ambito di ciascuna classe, si applicava la disciplina dei casi precedenti (differimento utili, imputazione perdite).

Era tuttavia accettabile, nel caso di soli utili su cambi, non effettuare lâ??adeguamento di crediti e debiti. Nel caso di sole perdite su cambi, invece, era consentito non effettuare lâ??adeguamento, ma imputare le perdite a conto economico con contropartita un fondo del passivo e, nel caso di utili e perdite su cambi, non effettuare ugualmente lâ??adeguamento, ma differire gli utili che risultassero dalla conversione nellâ??ambito di una classe di scadenza di crediti e debiti e spesare le perdite emergenti nellâ??ambito di altre classi (in questâ??ultimo caso iscrivendo un fondo oscillazione al passivo).

Merita osservare che il criterio “preferito” è stato raramente applicato, in quanto lâ??allora vigente legislazione fiscale considerava tassabili gli adeguamenti con effetto positivo ed indeducibili quelli con effetto negativo. Ha trovato, invece, generale applicazione il fondo rischi su cambi, che differisce da quello ritenuto “accettabile” dal P.C. 9, in quanto non strutturato per classi di scadenza e formato tenendo conto dei cambi medi dellâ??ultimo mese, anziché dellâ??ultimo giorno dellâ??esercizio.

Merita inoltre segnalare che, successivamente alla statuizione del P.C. n. 9, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, oltre a consentire gli “accantonamenti per rischi di cambio” nellâ??apposito “fondo di copertura” (art. 72), ha permesso “la valutazione secondo il cambio alla data di chiusura dellâ??esercizio dei crediti e dei debiti risultanti in bilancio, anche sotto forma di obbligazioni o titoli similari, … se effettuata per la totalità di essi” (art. 76, co. 2).

Occorre infine ricordare la disciplina dello I.A.S. 21, The effects of changes in foreign rates (revised 1993), il quale al § 11 stabilisce che i valori monetari in valuta estera devono essere iscritti in bilancio utilizzando il tasso alla data di chiusura del bilancio e ai § 15 e 16 che le differenze di cambio – in caso di pagamento in un esercizio successivo – devono essere riconosciute come provento o come costo nei singoli esercizi nei quali le variazioni di cambio si determinano.

In tema di bilanci degli enti finanziari, lâ??art. 21, D. lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, stabilisce che “le attività e passività denominate in valuta sono valutate al tasso di cambio a pronti corrente alla data di chiusura dellâ??esercizio” e che, salvo casi particolari, “la differenza tra il valore corrente … e il valore contabile degli stessi elementi … è inclusa nel conto economico”.

Può conclusivamente affermarsi che le norme di legge, interpretate ed integrate sul piano della tecnica dai principi contabili, impongono la valutazione delle partite in moneta estera secondo il cambio risultante a fine esercizio se da tale valutazione ne scaturisce una differenza negativa. Anche applicando le norme tributarie (artt. 72 e 76, comma 2, D.P.R. 917/86) e salvo il caso di rilevanti scostamenti tra cambio medio dellâ??ultimo mese dellâ??esercizio (applicabile ai fini fiscali) e cambio alla data di chiusura dellâ??esercizio, le partite monetarie sono valutate a questâ??ultima data tenendo conto almeno delle differenze negative (perdite su cambi), o attraverso un adeguamento diretto o attraverso lâ??iscrizione al passivo di un fondo di copertura dei rischi di cambio o dizione simile.

Deve pertanto escludersi che le norme introdotte con D. lgs. 213/1998 abbiano voluto disciplinare le differenze negative su cambi, al netto di eventuali differenze positive, non imputate a conto economico nei bilanci chiusi prima del 31.12.1998. Le nuove norme, infatti, non hanno alcuna finalità di sanatoria; si applicano pertanto alle differenze cambio negative (di ammontare presumibilmente non rilevante) maturate, nei confronti delle c.d. valute aderenti, nellâ??ultimo esercizio (cioè in quello in corso al 31.12.1998) ed a quelle positive, maturate nei precedenti esercizi e non imputate a conto economico, né compensate con eventuali differenze negative.

Lâ??opinione che sostiene la possibilità di assoggettare alla disciplina del D. lgs. 213/1998 anche le differenze negative di conversione che erroneamente non erano state imputate nei bilanci chiusi prima del 31.12.1998 (accettata dalla C. M. 291/E, cit., § 6.1) contrasta col principio della competenza, senza che il legislatore ne consenta la deroga; le differenze negative di conversione, non imputate nei precedenti esercizi, non costituiscono infatti oneri finanziari, bensì oneri straordinari.

11. Riconoscimento delle differenze di cambio derivanti dallâ??adozione di cambi fissi secondo corretti principi contabili

Come si è detto, il 31.12.1998 sono stati stabiliti i tassi fissi ed irreversibili di conversione tra le varie monete dei Paesi aderenti allâ??UEM e lâ??euro.

Qualsiasi credito e debito espresso in una moneta a tasso fisso di conversione, prescindendo dalla sua scadenza a breve o lungo termine, non è, perciò, più soggetto al rischio di cambio. Ricevere 1.000 marchi fra uno o quattro anni comporterà comunque ricevere una quantità predeterminata di lire (rectius, di euro), essendo predeterminato ed invariabile il tasso di cambio marco/euro e lira/euro: tutto ciò se credito e debito sono sorti successivamente al 31.12.1998. Se essi sono sorti prima di tale data, lâ??adozione del tasso fisso fa emergere e cristallizzare una differenza di cambio derivante dalla variazione verificatasi nel periodo pregresso, ove la stessa non fosse stata già rilevata. Tale differenza può dirsi realizzata, in quanto definitivamente acquisita allâ??economia dellâ??impresa.

Permane naturalmente il rischio di insolvenza, contestazione o comunque inadempimento del debitore, come per qualsiasi altro credito.

Può quindi affermarsi – con riferimento agli elementi monetari – che lâ??adozione di un tasso fisso di cambio fa emergere una differenza di cambio irreversibile; tale fatto deve essere riflesso nel bilancio dellâ??esercizio in cui esso si manifesta.

I tassi fissi di conversione tra le varie monete dei Paesi aderenti allâ??U.E.M. si applicano alle partite destinate ad essere riscosse o pagate a partire dallâ??1.1.1999. Né può assumere rilievo la circostanza che la nascita dellâ??euro è avvenuta giuridicamente il 1°.1.1999 e non il 31.12.1998. Infatti “tutte le attività che, denominate in unâ??altra moneta partecipante, non sono state cedute o regolate prima del 31 dicembre 1998, possono essere successivamente cedute o regolate solo ai tassi fissi di conversione. Pertanto, tali tassi rispecchiano la realtà economica al 31 dicembre 1998” e i relativi bilanci dovranno riflettere tale realtà.

Con riferimento a tutte le altre partite non monetarie, principalmente le immobilizzazioni materiali ed immateriali, la cristallizzazione del cambio è avvenuta alla data della loro acquisizione. In quella data viene rilevato il costo, e qualsiasi operazione successiva – per esempio, il pagamento di rate del prezzo – ha natura finanziaria. Come è noto, infatti, in un sistema contabile a costi storici (accounting cost method), le rettifiche in aumento del costo possono essere effettuate solo attraverso una legge di rivalutazione monetaria, la quale opera dâ??imperio la sostituzione del costo con altro valore.

In ogni caso la conversione in euro delle partite non monetarie deve essere effettuata utilizzando il valore risultante dalla contabilità al 31.12.1998 e non evidenzia alcuna differenza di cambio. Lâ??introduzione dellâ??euro, quindi, non può costituire causa automatica di rettifica delle immobilizzazioni materiali o immateriali, e non influenza di conseguenza la misura degli ammortamenti.

12. Trattamento delle differenze di cambio in altri Paesi europei aderenti

Appare utile dare una breve informazione sul trattamento delle differenze di cambio che emerge dalle disposizioni di organismi ufficiali o professionali europei, nonché sulle scelte operate dal legislatore di altri paesi aderenti allâ??unione economica e monetaria.

Per lâ??immediato riconoscimento delle differenze di cambio di natura monetaria – problema questo distinto da quello attinente alla loro imputazione quale componente positivo o negativo del reddito dellâ??esercizio – si sono espressi lo IASC, The effects of changes in foreign exchange rates, IAS 21 (revised 1993), § 15, e, con specifico riferimento allâ??introduzione dellâ??euro, la COMMISSIONE EUROPEA, Dir. Gen. XV, Aspetti contabili dell?introduzione dell?euro, Bruxelles, giu. 1997, ? 54- 58, la FEE, Accounting for the introduction of the euro. Bruxelles, March 1997, ed ancora lo IASC, Introduction of the Euro, SIC-D7, London, October 1997.

In Belgio il Ministère de Finances, con circolare 8.10.1997, ha stabilito che le differenze di cambio, positive o negative, sulle partite monetarie, hanno carattere definitivo e devono essere contabilizzate (con conseguente riconoscimento fiscale) nell?esercizio chiuso al 31.12.1998 o in quello in corso a detta data.

Anche in Francia il trattamento contabile delle differenze sia negative sia positive prevede l?imputazione diretta nel conto economico dell?esercizio chiuso al 31.12.1998 (Rapport du group de travail constitué à la demande du Directeur du Trésor, Les conséquences de la monnaie unique pour les entreprises, Marzo 1997, pag. 70).

In Germania, invece, unico paese nel quale il trattamento contabile delle differenze di cambio ha trovato applicazione solo nei bilanci chiusi a partire dal 1°.1.1999, mentre le differenze negative di conversione devono imputarsi per intero nel conto economico del primo esercizio interessato, le differenze positive sono contabilizzate nello stesso modo o stornate dal conto economico ed indicate nella sezione “Passivo” dello stato patrimoniale, dopo il capitale proprio, in una posta apposita, denominata “Voce speciale per la conversione della valuta in Euro (Sonderposten aus der Waehrungsumstellung auf dem Euro). La voce sarà annullata quando le poste patrimoniali convertite cesseranno di far parte del patrimonio dell?impresa e comunque alla chiusura del quinto esercizio terminato dopo il 31.12.1998 (nuovo art. 43, comma 1, Handelsgesetzbuch). La suindicata “voce speciale” è considerata una riserva (Ruecklage), il cui accreditamento va a riduzione dell?utile fiscale, da annullare accreditando il conto economico quando man mano che le voci patrimoniali interessate cesseranno di far parte del patrimonio e comunque nel quinto esercizio chiuso dopo il 31.12.1998 (Einkommensteuergesetz 1997, nuovo ? 6d, comma 1).

13. Interpretazione ed integrazione tecnica dell?art. 18, D. lgs. 213/98

A) Trattamento delle differenze di cambio

I) Metodo dell?imputazione immediata per competenza

Per le considerazioni esposte nel precedete ? 11 l?imputazione, immediata e per intero, nel conto economico del bilancio degli esercizi chiusi a partire dal 31.12.1998, delle differenze di cambio positive e negative, derivanti dall?adozione di tassi fissi ed irreversibili fra le valute aderenti, l?ecu e l?euro, costituisce il solo metodo che esprime in modo veritiero e con correttezza gli accadimenti di gestione nel rispetto del principio di competenza.

Infatti tale metodo costituisce l?unico trattamento contabile che rispecchia le clausole generali del bilancio di cui all?art. 2423, comma 2, cod. civ. e che è conforme ai principi contabili internazionali; lo stesso si qualifica come “trattamento contabile di riferimento”. Da quanto risulterà commentando le alternative consentite dal legislatore esso appare inoltre criterio di più semplice e generalizzata applicazione. Gli altri metodi, invece, si pongono in contrasto con le predette clausole generali del bilancio, sono quindi consentiti solo in quanto previsti da una legge speciale, ma non sono raccomandati perché contrastanti con i corretti principi contabili.

II. Metodo analitico pro-rata

Come si è già accennato al ? 10, secondo tale metodo “la differenza cambio positiva o negativa di ciascun elemento monetario è ripartita nell?esercizio e in quelli successivi in funzione della durata residua e della prevista evoluzione del capitale dell?elemento considerato” (art. 18, comma 5, D. lgs. cit.).

Si richiama l?attenzione, e ciò anche con riferimento al successivo metodo forfetario, che il metodo qui illustrato riguarda tutte le differenze di cambio sorte nell?esercizio in corso al 31.12.1998, e quindi, nel caso di esercizi solari, concerne tutte le differenze sorte nel 1998; può riguardare anche le differenze di cambio positive non rilevate negli esercizi precedenti, ma relative a crediti e debiti ancora in essere a fine esercizio. Il metodo analitico pro-rata e quello forfetario non possono, invece, essere utilizzati per differire differenze negative su cambi di competenza di precedenti esercizi che, in violazione di norme civilistiche, non erano state imputate al conto economico o sulla base del principio contabile n. 9 o sulla base della disciplina fiscale attinente il fondo di copertura dei rischi di cambio. Sul punto si rinvia a quanto affermato nel precedente ? 10.

Il metodo richiede pertanto che:

? sia determinata la prevista durata (e quindi siano determinate le previste scadenze) di ciascun elemento monetario, in modo da frazionarlo e considerare quindi separatamente gli importi di crediti e debiti;

? per ciascun ammontare sia determinata la relativa differenza di cambio;

? ciascuna differenza cambio sia ripartita lungo la durata del relativo elemento monetario pro rata temporis.

Il metodo può essere applicato operando non solo su singoli elementi monetari, ma anche su gruppi di essi o loro frazioni aventi la stessa durata, prescindendo dalla valuta in cui sono espressi.

Come si è già detto, se l?elemento monetario è incassato, pagato o ceduto prima della scadenza, la differenza cambio, per la parte che è stata rinviata ai futuri esercizi, deve essere imputata per intero nell?esercizio in cui è avvenuto l?incasso o il pagamento o la cessione.

Il testo letterale dell?art. 18, comma 8, limitandosi ad imporre l?iscrizione “diretta” delle differenze di cambio nello stato patrimoniale, quindi accreditando ed addebitando direttamente (ed esclusivamente) gli elementi monetari espressi in una valuta aderente, non disciplina la tecnica contabile con cui tali differenze devono essere imputate nel conto economico. L?intenzione del legislatore, chiaramente espressa nella relazione al decreto legislativo, è quella d?imporre l?imputazione al conto economico in modo diretto solo della quota che egli dichiara di competenza dell?esercizio, e di evitare, per esempio, il ricorso alla tecnica di imputare in una sezione del conto medesimo le differenze per intero e di imputare nella sezione opposta la parte da rinviare, in ragione del tempo, agli esercizi successivi.

Quanto sopra pone il problema d?individuare nello schema obbligatorio di cui all?art. 2424 cod. civ. le voci da utilizzare quale contropartita delle quote di differenze cambio rinviate agli esercizi successivi. Due metodi sono conformi al disposto dell?art. 18, D. lgs. cit.

a) Il primo metodo, che per brevità si denomina metodo dei risconti, si giustifica per il fatto che la norma, prevedendo la ripartizione di elementi reddituali di competenza di un solo esercizio in più esercizi, ha fissato una competenza “legale” che si sostituisce a quella economica. Pertanto le differenze di conversione diventano, per finzione giuridica, elementi comuni a più esercizi da riscontare in ragione del tempo, secondo la nozione che di quest?ultimo viene data dal D. lgs. 213. Tuttavia, trattandosi di risconti non calcolati con criterio di competenza economica, essi devono essere indicati separatamente dagli altri risconti di cui all?art. 2424 bis, ultimo comma, cod. civ.; essi saranno iscritti nello stato patrimoniale sotto le voci D) dell?attivo ed E) del passivo, seguite dalle espressioni “di cui risconti per perdite – o utili – su cambi da ripartire” o altra equivalente

b) Il secondo metodo viene per brevità denominato metodo dell?imputazione a patrimonio netto, in quanto caratterizzato dall?iscrizione a patrimonio netto delle differenze (positive e negative) di conversione. Con tale metodo è possibile ottenere una rappresentazione dello stato patrimoniale sostanzialmente identica a quella che esso avrebbe assunto se fosse stato applicato il metodo di riferimento.

Nel caso di utili su cambi differiti, la contropartita nello stato patrimoniale è pertanto una riserva (A.VII), da iscrivere al netto delle imposte differite, le quali devono essere accreditate nella voce “Fondi per rischi e oneri: 2) b) per imposte differite”. L?iscrizione degli utili differiti ai conti del patrimonio netto si giustifica considerando che, ove fosse stato applicato il metodo di riferimento, l?immediata imputazione delle differenze positive al conto economico avrebbe comportato un maggiore utile d?esercizio e, automaticamente, un maggior debito tributario per le relative imposte. Il differimento di parte di tali differenze fa sorgere una riserva di utili, i quali affluiranno al conto economico nei futuri esercizi, e trasforma il debito tributario corrente in un fondo imposte, cioè in una passività che verrà liquidata nei successivi esercizi secondo i criteri che in quegli stessi esercizi saranno applicabili.

Nel caso di perdite su cambi differite, la contropartita non è rinvenibile in alcuna delle voci dello schema edittale. Non ritenendosi consentita l?iscrizione all?attivo di perdite di competenza dell?esercizio, ancorché rinviate agli esercizi successivi in base ad una legge speciale di natura transitoria, ai sensi dell?art. 2423 ter, comma 3, viene aggiunta la voce “perdite di conversione in euro da ripartire” o dizione simile, da indicare distintamente e con segno negativo sub A) VII – Altre riserve e da compensare con eventuali riserve formate da utili su cambi da ripartire.

Se il saldo fra gli utili e le perdite da ripartire è positivo, su tale saldo dovranno essere applicate le imposte differite.

Nei successivi esercizi gli utili lordi o le perdite di conversione in euro si ridurranno, rispettivamente accreditando i “proventi finanziari” o addebitando gli “oneri finanziari”. Nel caso di proventi finanziari (utili lordi superiori a perdite) le relative imposte saranno addebitate al Fondo imposte differite ed accreditate ai Debiti tributari.

III. Metodo sintetico

Col metodo sintetico “le differenze di cambio sono ripartite in quote costanti nell?esercizio e nei tre successivi” (art. 18, comma 6, D. lgs. cit.), senza tenere conto della durata (scadenza) dei singoli elementi monetari, né dell?eventuale riscossione, pagamento o cessione degli elementi medesimi.

Merita qui sottolineare che tale metodo è quello che maggiormente si pone in contrasto con la rappresentazione fedele della situazione patrimoniale e del risultato d?esercizio, solo se si consideri che il differimento degli utili e, ciò che più conta, delle perdite su cambi nell?arco dei successivi tre esercizi potrebbe riguardare differenze realizzate all?inizio del primo di tali esercizi.

Anche questo metodo può essere applicato con due metodi di contabilizzazione: il metodo dei risconti e il metodo dell?imputazione a patrimonio netto.

Nel primo caso la rappresentazione contabile non è differente da quella prospettata trattando del metodo analitico pro-rata, differenziandosi solo per quanto concerne gli importi da riscontare, i quali ammontano in ciascun esercizio al 25% dell?importo complessivo.

In considerazione della denominazione del metodo e della stessa natura che hanno le differenze cambio positive e quelle negative, si ritiene preferibile che al conto economico sia imputata la quota calcolata sul saldo fra le suddette differenze; tuttavia, mancando in tal senso un?indicazione nella norma, è altresì accettabile che le differenze di conversione restino imputate separatamente.

Nel secondo caso (metodo dell?imputazione a patrimonio netto) il differimento delle differenze positive e di quelle negative avviene, rispettivamente, accreditando la voce “altre riserve” ed addebitando la voce “perdite di conversione da ripartire”: quest?ultima costituisce un componente negativo del patrimonio netto. Anche in questa ipotesi, dopo aver effettuato la compensazione fra “altre riserve ” e “perdite di conversione da ripartire”, ove risultassero ancora iscritte “altre riserve”, queste devono essere iscritte al netto dell?effetto fiscale, da indicare in apposito fondo oneri (“per imposte differite”).

B) Utilizzazione del preesistente fondo per rischi di cambio

Qualunque criterio sia scelto, sorge il problema del trattamento contabile dell?eventuale fondo per rischi di cambio ex art. 72, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Come è noto, il fondo è costituito dall?accantonamento della “differenza negativa tra il saldo dei crediti e dei debiti in valuta estera risultanti in bilancio”, al cambio vigente alle date di compimento (e di contabilizzazione) delle varie operazioni e lo stesso saldo al cambio medio dell?ultimo mese dell?esercizio (art. 72, comma 1).

Il suddetto fondo deve essere utilizzato per “le perdite di cambio derivanti dalle riscossioni e dai pagamenti effettuati nell?esercizio” (art. 72, comma 3). L?art. 18, commi 2 e 5, D. lgs. 213/1998, stabilisce che le differenze di conversione, qualunque sia il metodo utilizzato per la loro determinazione, sono incluse nel conto economico per l?intero loro ammontare o ripartite in più esercizi.

Pertanto le perdite di conversione, al contrario di quelle derivanti da riscossioni o pagamenti, non possono essere coperte dal fondo per rischi di cambio, ma devono essere imputate per il loro ammontare – che varia a secondo del metodo applicato – nel conto economico dell?esercizio chiuso o in corso al 31.12.1998. Tale affermazione è altresì suffragata dal principio di competenza. Infatti il fondo esistente al 31.12.1997, dopo essere stato eventualmente ridotto per la copertura di perdite derivanti da riscossione o pagamenti, non può essere evidentemente utilizzato a fronte di perdite di conversione maturate nel 1998.

Si pone quindi il problema del trattamento contabile del fondo suddetto alla fine dell?esercizio 1998.

Il fondo per rischi di cambio costituisce ora una posta integrativa di maggiori debiti, ora una posta correttiva di minori crediti. L?adozione di cambi fissi fra la lira e l?euro e fra quest?ultimo e le altre valute aderenti, con conseguente iscrizione di crediti e debiti a tali cambi, non consente il mantenimento di un fondo per rischi di cambio con riferimento alle valute aderenti.

Le imprese potranno o limitare il calcolo del fondo rischi di cambio alle differenze di cambio relative a valute diverse da quelle aderenti (per es., alle differenze calcolate su crediti e debiti in dollari o in sterline inglesi) o abbandonare tale sistema contabile di copertura dei rischi su cambi, passando a quello più corretto di adeguamento delle partite monetarie ai cambi di fine esercizio (ivi compresi, obbligatoriamente, i nuovi cambi fissi), con contropartita l?imputazione delle differenze cambio stesse a conto economico: in quest?ultimo caso con rilevanza ai fini fiscali ai sensi dell?art. 76, comma 2, D.P.R. cit.

Il fondo iniziale (non utilizzato ex art. 72, comma 3, D.P.R. 917/1986), nella misura in cui non sia destinato a coprire differenze di cambio negative già maturate con riferimento a valute non aderenti, verrà sciolto mediante accredito al conto proventi finanziari.

Come è noto, l?art. 76, comma 2, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, stabilisce che “la valutazione, secondo il cambio alla data di chiusura dell?esercizio, dei crediti e dei debiti in valuta estera risultanti in bilancio, anche sotto forma di obbligazioni e titoli similari, è consentita se effettuata per la totalità di essi”. Potrebbe allora sostenersi che, ai fini tributari e a partire dal 31.12.1998, essendo obbligatorio adeguare le partite monetarie, espresse in valuta dei Paesi dell?U.E.M., al cambio fisso in euro, non sia consentito mantenere il fondo oscillazione cambi per quelle espresse in altre valute.

Si osserva tuttavia che l?introduzione dell?euro in sostituzione delle monete nazionali fa sì che queste ultime, durante il periodo transitorio, debbano considerarsi come monete aventi corso legale, il cui valore è riferito ad altra moneta, l?euro, anch?essa avente corso legale. Pertanto le valute convertibili in euro a tasso fisso ed irreversibile non possono essere considerate valute estere, ma, al pari della lira, differenti unità di conto dell?euro (monete divisionali non decimali dell?euro).

C) Informazioni della nota integrativa

Come si è evidenziato in questo paragrafo, sub a, l?adozione dei metodi analitico e sintetico comporta una deviazione dal principio di competenza economica e mina quindi la rappresentazione veritiera e corretta dello stato patrimoniale e soprattutto del conto economico. Ne consegue che l?adozione di tali criteri, consentita dal legislatore, dovrebbe trovare giustificazione in un vantaggio fiscale, costituito dal differimento delle imposte, in conseguenza del differimento di utili su cambi (rectius di utili al netto di perdite su cambi).

In realtà il legislatore, regolando la materia congiuntamente con effetti civili e tributari, non sembra vietare i suddetti metodi alternativi allorché le differenze negative su cambi siano superiori a quelle positive.

La necessità che il bilancio, anche attraverso la nota integrativa, dia “una rappresentazione veritiera e corretta” impone che la nota integrativa, ai sensi dell?art. 2427, n. 1, comma 1, cod. civ., fornisca le informazioni che seguono.

Nella nota integrativa (art. 2427, comma 1, n. 1, cod. civ.) deve essere pertanto data informazione concernente:

? il criterio di conversione prescelto, indicando, in caso di applicazione dei metodi analitico o sintetico, i vantaggi fiscali conseguenti alla scelta operata;

? l?ammontare delle differenze cambio o positive e negative, risultanti dal criterio prescelto;

? l?ammontare delle differenze cambio positive e negative, imputate al conto economico per effetto della conversione in lire ai tassi fissi;

? l?ammontare delle suddette differenze cambio, iscritte in aumento e in diminuzione delle varie voci dell?attivo e del passivo, interessate dalla conversione;

? l?ammontare delle eventuali imposte differite iscritte nell?apposito fondo;

? gli effetti sul patrimonio netto e sul risultato economico dell?esercizio dell?adozione dei cosiddetti metodi alternativi.

14. Gli effetti dell?introduzione dell?euro sul bilancio consolidato

Le disposizioni esaminate in tema di bilancio d?esercizio si applicano anche ai bilanci consolidati (art. 19, D. lgs. cit.) .

a) Uniformità dei criteri di valutazione nell?ambito del gruppo

E? possibile che nell?ambito UEM, con riferimento sia ai costi derivanti dall?introduzione dell?euro, sia alle differenze di cambio, siano previsti trattamenti contabili diversi.

La legislazione italiana sancisce l?obbligo, nella redazione del bilancio consolidato, di adottare principi contabili e criteri di valutazione uniformi. Pertanto, ai fini della redazione del bilancio consolidato, l?impresa italiana capogruppo deve armonizzare ogni singolo bilancio d?esercizio delle società controllate estere.

b) Metodi di conversione

L?introduzione dell?euro sul bilancio consolidato comporta che, dall?entrata in vigore dei tassi di cambio fissi, le differenze che si generano, per effetto dell?applicazione del processo di conversione delle attività e delle passività denominate in moneta di un paese partecipante all?UEM, diventano certe e si considerano realizzate. Gli effetti sul bilancio consolidato assumono diversa rilevanza a seconda del procedimento utilizzato per la traduzione dei bilanci espressi in valuta estera. Con riferimento ai due metodi di conversione considerati corretti, il metodo del cambio corrente e il metodo temporale, si producono le seguenti conseguenze:

1) Il metodo del cambio corrente

Il metodo del cambio corrente prevede la traduzione di tutte le attività e passività al cambio in essere alla data di bilancio (senza distinzione tra partite monetarie e non monetarie) con allocazione delle differenze di conversione tra i conti di patrimonio netto consolidato. Il fatto che tali differenze acquisiscano il requisito della certezza per effetto dell?introduzione dell?euro non è elemento sufficiente perché esse siano riconosciute a conto economico. Infatti:

? le differenze di conversione potrebbero in gran parte riferirsi ad attività e passività non monetarie e quindi il riconoscimento a conto economico di tali differenze non sarebbe accettabile;

? difficilmente potrebbe individuarsi una correlazione tra la realizzazione delle differenze di conversione e l?effettivo contributo alla redditività di gruppo da parte della gestione estera oggetto di consolidamento.

Le differenze cumulative di conversione saranno iscritte al conto economico nel momento in cui il gruppo realizzerà in modo definitivo tali differenze attraverso la cessione o liquidazione della gestione estera.

2) Il metodo temporale

Il metodo temporale prevede la traduzione di tutte le attività e passività monetarie al cambio in essere alla data di bilancio, mentre le attività e passività non monetarie, contabilizzate a costi storici, sono tradotte ai cambi in essere alle date in cui furono acquisite le attività, sostenute le passività, costituiti il capitale e le riserve. Il cambio in essere alla data di bilancio è utilizzato inoltre per la traduzione delle eventuali attività e passività non monetarie quando siano iscritte in bilancio a valori correnti.

Per effetto dell?introduzione dell?euro si verificherà normalmente che lo stesso elemento patrimoniale (attività o passività non monetaria), espresso in euro, presenti nel bilancio consolidato e nel bilancio dell?impresa controllata due valori diversi. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che nel corso del tempo, tra la data di formazione delle attività e l?introduzione dell?euro, si siano verificate delle oscillazioni valutarie tra la divisa della capogruppo e quella della controllata. Tale circostanza comunque non può far variare i risultati della conversione effettuata dall?impresa controllante. Potrà pertanto accadere che di fatto coesistano due bilanci in euro della controllata: il primo ottempera alla legislazione nazionale, il secondo è redatto in base ai cambi utilizzati dalla controllante per predisporre il bilancio consolidato, di modo che siano convertiti in euro i valori storici, risultanti dalla conversione dei cambi originari, delle attività e passività non monetarie della controllata.

Le differenze testé descritte verranno registrate nel conto economico del bilancio consolidato al momento del realizzo dell?attività sottostante oppure, se trattasi di attività non monetaria, con l?ammortamento o la cessione della stessa.

c) Scelta del metodo di conversione

La scelta del metodo di traduzione più appropriato prescinde dall?introduzione dell?euro e deve essere fatta avendo riguardo ai rapporti di carattere finanziario ed operativo che intercorrono tra il gruppo e le partecipate estere. In particolare:

? il metodo del cambio corrente è da adottarsi per la traduzione dei bilanci delle partecipate, la cui attività è sostanzialmente autonoma rispetto a quella della capogruppo;

? il metodo temporale invece è da adottarsi per la traduzione del bilancio delle partecipate, la cui attività è integrata con quella della capogruppo.

Sommario Principi contabili

Fonte: Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti

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