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Saggi
7 Gennaio 2014

I diversi ambiti di applicazione del reverse charge

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Con l’accezione reverse charge ci si riferisce, in ambito tributario, al meccanismo dell’inversione contabile che consente di derogare, per talune tipologie di operazioni che vedremo nel seguito, alle usuali regole IVA che prevedono, ordinariamente, la designazione del cedente (ovvero del prestatore nel caso di prestazioni di servizi) quale soggetto debitore d’imposta.

Il termine “inversione contabile” si riferisce, invero, alla differente modalità di annotazione contabile secondo cui il compratore dovrà dichiarare l’acquisto del bene o servizio attraverso l’emissione di una autofattura, vale a dire un documento redatto da lui stesso e non emesso dal cedente, come accade nella normalità dei casi.

Un’ulteriore modalità di applicazione pratica del reverse charge consiste nella integrazione del documento emesso dal cedente.

La motivazione che ha spinto il legislatore fiscale all’originaria introduzione del sistema de qua va individuato nella volontà di evitare – o quanto meno limitare – le numerose frodi che si sostanziavano, specie nei rapporti transnazionali intracomunitari, nella circostanza che il cessionario portasse in detrazione un’imposta che il cedente non aveva in realtà versato.

Attraverso il sopra indicato metodo, il cedente si sottraeva al versamento dell’IVA, senza che ciò potesse costituire un motivo ostativo all’esercizio del diritto alla detrazione spettante al cliente, a meno che fosse dimostrabile la sua malafede ovvero la connivenza con il fornitore/cedente.

L’implementazione di un sistema del tipo reverse charge facilita la riduzione di tali frodi, in quanto, rendendo debitore dell’imposta il cessionario o committente, se soggetto passivo, lo obbliga ad integrare la fattura, precedentemente emessa dal cedente/prestatore senza applicazione dell’imposta, mediante l’indicazione dell’aliquota propria dell’operazione e dell’ammontare del tributo, annotando poi la stessa sia nel registro degli acquisti che in quello delle fatture emesse, per la liquidazione del tributo.

Attraverso l’introduzione del meccanismo dell’autofatturazione previsto dall’art. 17 del DPR 633/72, il legislatore nazionale ha, altresì, inteso conseguire la principale finalità antielusiva che il meccanismo si pone, permettendo di contrastare il fenomeno delle cosiddette “frodi carosello” attraverso le quali, «il cedente una volta emessa la fattura con addebito dell’IVA, scompare senza lasciar traccia, mentre il cessionario (senza subire il meccanismo della rivalsa), si accredita l’importo dell’IVA indicata in fattura chiedendone il rimborso secondo la dinamica applicativa in ambito IVA»[1].

Il predetto meccanismo introdotto nel nostro sistema per gli operatori che effettuano cessioni intracomunitarie, è stato voluto fortemente dal legislatore comunitario che, con una Direttiva in materia, ha determinato un’applicazione generalizzata del medesimo in tutti quei settori nei quali le frodi IVA erano particolarmente diffuse.

Su questa falsariga, ad esempio, l’art. 1, § 7 della direttiva 2006/69/CE ha esteso l’uso di un meccanismo facoltativo di inversione contabile a determinate cessioni o prestazioni effettuate nei confronti di soggetti passivi di imposta.

In particolare, «l’art. 194 della Direttiva Comunitaria n. 2006/112/CE attribuisce agli stati membri la facoltà di individuare quale debitore d’imposta, a differenza di quanto previsto in termini generali dall’assoggettamento passivo ad IVA, che individua in chi effettua l’operazione imponibile il soggetto passivo stesso, il cessionario del bene o il beneficiario della prestazione in relazione alle cessioni o prestazione effettuate da un soggetto passivo residente in stato diverso da quello dove si realizza l’operazione effettuata»[2].

Sul piano della normativa interna è di primaria importanza sottolineare come l’istituto dell’inversione contabile trovi la sua più compiuta disciplina nell’art. 17, commi 2 e ss., del DPR 633/72.

Una prima ipotesi del meccanismo contabile del reverse charge può riscontrarsi, come in precedenza accennato, nelle operazioni internazionali, per le quali il citato comma 2 dell’art. 17, statuisce che «gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato [ .. ] sono adempiuti dai cessionari o committenti».

Considerata, peraltro, la numerosità delle fattispecie in cui trova applicazione il meccanismo del reverse charge si riporta nel seguito un elenco delle principali casistiche:
– operazioni intracomunitarie (ivi incluse talune tipologie di servizi come nel seguito meglio specificato);
– cessioni di oro industriale;
– subappalti in edilizia;
– cessioni di fabbricati (o porzioni di fabbricato) strumentali;
– cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni e dei loro componenti ed accessori;
– cessioni di personal computer e dei loro componenti ed accessori;
– cessioni di materiali e prodotti lapidei, qualora i medesimi provengano direttamente da cave e miniere;
– cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi e dei relativi lavori, di carta da macero, di stracci e di scarti di ossa, di pelli, di vetri, di gomma e plastica;
– cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli non ferrosi e dei relativi lavori, dei semilavorati di metalli non ferrosi;
– provvigioni corrisposte da agenzie di viaggio ai loro intermediari.

Di particolare interesse dal punto di vista innovativo risulta l’applicazione dell’IVA con il sistema dell’inversione contabile per le cessioni di telefoni cellulari – concepiti dall’Amministrazione Finanziaria come «dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo» – nonché di personal computer («dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale»).

Anche in tale circostanza, l’adozione del sistema oggetto di trattazione tende a prevenire comportamenti fraudolenti ed abusi nei settori della telefonia mobile e del commercio di componenti informatici, realizzati da soggetti IVA che emettono fatture con addebito dell’imposta, detraibile per il cessionario o committente, senza però operare il successivo versamento del tributo incassato nelle casse erariali.

Per completezza di informazione si rappresenta che nella circolare n. 59/E del 2010, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito come l’applicazione del reverse charge nel caso di specie sia espressamente esclusa per le cessioni effettuate dai soggetti rientranti nel regime dei “contribuenti minimi”.

L’ultima novità in materia risulta essere quella statuita dalla L. 217 del 15 dicembre 2011 (Legge Comunitaria 2010), entrata in vigore il 17 gennaio 2012 dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 2012, la quale ha apportato rilevanti modifiche alla normativa IVA per le prestazioni di servizi effettuate da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi nazionali.

In virtù delle predette innovazioni, a partire dal 17 marzo 2012 l’imposta sul valore aggiunto sulle prestazioni di servizi “generiche” fornite da soggetti passivi comuniatri dovrà essere assolta dai soggetti nazionali mediante l’obbligo di integrazione della fattura estera della relativa imposta.

In pratica, dal 17 marzo 2012 non sarà più possibile optare per l’autofatturazione in caso di prestazione di servizi da soggetti esteri a soggetti italiani, poiché con le nuove regole l’autofattura entra in gioco solo nel caso in cui il fornitore estero non emetta regolare fattura entro un mese dalla data di effettuazione dell’operazione o di pagamento del servizio.

Resta ferma, invece, l’applicazione del reverse charge sotto forma di autofatturazione per le prestazioni di servizi effettuate da soggetti extracomuniatri nonché per quelle dei soggetti UE sottoposti a particolari deroghe.

Ai fini pratici si segnala che, una volta integrata la fattura ricevuta dal prestatore di servizio “generico”, la medesima dovrà essere annotata nel registro delle fatture emesse (o dei corrispettivi) secondo i termini previsti dal DPR 633/72 (vale a dire entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese), in maniera distinta dalle altre, analogamente a quanto accade in caso di autofatturazione, come precisato dalla circolare n. 12/E del 2010 dell’Agenzia delle Entrate.

Nella predetta circolare, l’Amministrazione Finanziaria aveva, infatti, precisato che, « a decorrere dal 1° gennaio 2010, le prestazioni di servizi cosiddette generiche [ .. ] rese da soggetti passivi stabiliti all’estero nei confronti di soggetti passivi stabiliti in Italia, si considerano territorialmente rilevanti nel territorio dello Stato (cd. criterio del luogo del committente) [ .. ]. In particolare, in ambito comunitario, la prestazione di servizi continua ad essere documentata dal prestatore con fattura, ancorché trattasi di operazioni fuori campo IVA. Ciò stante il committente [ .. ] conserva la facoltà di integrare il documento ricevuto dal prestatore con l’IVA relativa, fermo restando l’obbligo di rispettare le regole generali sul momento di effettuazione dell’operazione».
Un fac-simile da utilizzare ai fini dell’integrazione potrebbe essere il seguente:

 

Fac simile di integrazione per reverse charge

Avuto, invece, riguardo l’annotazione della fattura nel registro degli acquisti, ai fini della detrazione dell’IVA, si rileva che essa dovrà, comunque, avvenire anteriormente alla liquidazione periodica, ovvero alla dichiarazione annuale nella quale viene compiuta la detrazione.
Si riporta di seguito un esempio delle annotazioni da effettuare in contabilità generale, in cui si ipotizza di avere ricevuto una prestazione di servizi di € 10.000, soggetti all’aliquota IVA del 20%[3].

 

Esempio di annotazione in contabilità per reverse charge

 

Si riporta, infine, uno schema riepilogativo del funzionamento del meccanismo del reverse change[4].

 

Funzionamento del reverse charge

In considerazione della numerosità delle fattispecie applicative e delle diverse sfumature che le connotano, si ritiene opportuno, specie nei casi di dubbi applicativi, approcciarsi con cautela alle singole casistiche che dovessero presentarsi, facendo eventualmente ricorso a professionisti specializzati. Ciò anche al fine di evitare di incorrere in violazioni della normativa in subiecta materia, violazioni punite con consistenti sanzioni da parte del legislatore fiscale[5].


[1] Cfr. “Reverse change – Applicazione nel settore edile”, Unione dei Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Pisa, aprile 2009.

[2] Vedi nota 1.

[3] Esempio tratto da “Pratica fiscale e professionale”n. 17 del 25 aprile 2011 – ed. IPSOA.

[4] Schema tratto da “Pratica fiscale e professionale”n. 3 del 17 gennaio 2011 – ed. IPSOA.

[5] Sanzioni che vanno dal 100 al 200 per cento del tributo evaso, con un minimo di € 258 (cfr. art. 6 D. Lgs. 471/1997).

 

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